Racconti - Fernanda Mariucci

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2013
AMORE IMPOSSIBILE

Si erano conosciuti chattando: lei Giulia, 39 anni single dopo una relazione finita male, lui Valerio uno stimato avvocato cinquantenne, anche lui single, diceva.
Tutto era cominciato in un incontro virtuale, a seguito di  uno scambio di opinioni riguardo al tema del sesso… Sesso senza amore. Lui sosteneva che  fosse più bello , poiché non comportava alcun impegno, né coinvolgimento emotivo, una cosa occasionale, insomma, una botta e via.
Lei era di tutt’altra opinione: - Non  fa per me, non potrei mai fare sesso senza essere coinvolta emotivamente, mi sentirei una poco di buono, una persona sporca… non ho mai fatto sesso senza amore e non lo farò se non con l’uomo di cui mi innamorerò.-
Fu proprio quel contrasto iniziale che fece nascere in loro la curiosità e il desiderio di continuare i loro incontri virtuali, che ben presto divennero una consuetudine quotidiana.
Era sempre Giulia che si metteva in contatto per prima,  ogni mattina, appena alzata, accendeva il PC ed entrava nella chat,Valerio era già pronto dall’altra parte.
Soltanto una volta fu lui a chiamarla, non trovandola in linea, le lasciò un messaggio nel quale diceva che doveva recarsi fuori città per lavoro.
Le conversazioni spaziavano su molteplici argomenti e ormai tra di loro non c’erano più segreti , a parte il disaccordo della prima ora, avevano scoperto di avere molte cose in comune: entrambi amavano i  libri e i viaggi d’avventura,  si interessavano di arte, amavano lo stesso tipo di musica e avevano in comune persino la canzone preferita: “My way”, così diceva lui, (era la canzone che Giulia aveva messo come sottofondo del suo desktop).
Fu Giulia a fare la prima mossa: - mi piacerebbe incontrarti - disse – voglio conoscerti… mi sono innamorata di te.- Dopo un istante di pausa, lui rispose: - si può fare – passò ancora qualche istante e aggiunse: - anche io mi sono innamorato di te.-
Si accordarono per incontrarsi il sabato successivo , Valerio disse che preferiva che si vedessero nella città di lei, dal momento che nella sua città era conosciuto e stimato da tutti e non voleva alimentare pettegolezzi. Sarebbe arrivato con il treno delle 17.
Lo riconobbe subito appena sceso dal treno… il cuore cominciò a batterle forte… lui aveva in mano un mazzo di rose rosse. Le si fece incontro, si tesero la mano e subito furono pervasi da una scarica elettrica , poi si abbracciarono e si baciarono sulla guancia, quando si staccarono l’uno dall’altra rimasero fermi a guardarsi… fu lì che cominciò il loro  primo amplesso,un amplesso fatto di desiderio, di sguardi, di odori, di tatto… era il preludio di una notte indimenticabile.
Si incamminarono mano nella mano in giro per la città, come due vecchi innamorati; Giulia era al settimo cielo!
Dopo una cena consumata nel ristorante preferito di Giulia, decisero di concludere la serata in un albergo di periferia , lontani da occhi indiscreti.
Una volta nella loro stanza, non ebbero più tempo di aspettare, furono subito  l’una tra le braccia dell’altro… fecero l’amore, Giulia si concedette senza alcuna riserva, come mai aveva fatto prima, da parte sua Valerio, si era dimostrato un amante premuroso e generoso, come se avesse indovinato ogni suo desiderio… si addormentarono abbracciati.
La mattina dopo, appena svegli fecero ancora l’amore e fu ancora più travolgente della sera prima…
Consumarono la colazione in camera mentre continuavano a parlare di quanto fossero stati bene insieme e quanto sarebbe stato bello incontrarsi ancora…
Erano pronti per recarsi alla stazione, dove Valerio avrebbe preso il treno per fare ritorno nella sua città…
fu ancora Giulia che azzardò: - quando ci incontriamo la prossima volta?-
Dopo un istante che sembrò un’eternità, lui rispose: - non ci sarà una prossima volta, ho una moglie che amo e due figlie… sono tutta la mia vita, non potrei mai separarmi da loro…-
Giulia rimase impietrita, non fu capace di aprire bocca, mentre dentro si sentiva gridare: -bastardo, vigliacco, impostore, ti sei preso gioco di me facendomi credere di essere innamorato… lui era già fuori dalla porta. Si lasciò cadere sul letto e scoppiò in un pianto dirotto… era amareggiata,  arrabbiata,  sentiva di odiare Valerio con tutte le sue forze… ma più di tutto odiava se stessa  per  aver ceduto alle lusinghe di un uomo che diceva di amarla e per aver creduto ad un amore impossibile.























































2014
AVARIZIA

Il conte Pietro Airoldi, ricco possidente, che aveva la sua residenza nella provincia di Mantova, era un uomo dall’animo nobile e gentile, amato e rispettato da tutti, sia dai domestici che dai coloni che lavoravano le sue terre, i quali erano ben contenti di essere alle sue dipendenze, poiché lo consideravano un uomo giusto e nobile, nobile per dinastia e nobile di fatto. Era inoltre, assai generoso verso tutti coloro che chiedevano il suo aiuto e in particolare nei confronti dei poveri, ai quali non faceva mai mancare cibo e generi di conforto. Abitava in un maestoso casale dell’ ottocento, situato nella campagna Mantovana e circondato da una vasta tenuta di sua proprietà.
Morì all’età di 85 anni, lasciando al suo unico figlio cinquantenne, di nome Gaetano, un ingente patrimonio, nonché la conduzione della tenuta.
Al contrario di suo padre, Gaetano era conosciuto come un misantropo: amava stare da solo, era dispotico e petulante con i suoi dipendenti, e per di più avaro, per non parlare della sua avversione nei confronti delle donne, che rifuggiva come la peste. Diceva: - Le donne sono solo delle mangiasoldi, in poco tempo dilapiderebbero tutti i miei beni. -
Della sua avarizia, ne sapevano qualcosa anche i pochi domestici che erano rimasti al suo servizio dopo la morte del padre, i quali, più di una volta avevano tentato di chiedere un aumento di salario, che, non solo non fu loro concesso, ma addirittura furono minacciati di licenziamento, se non avessero smesso di avanzare pretese.
Le sue giornate trascorrevano sempre uguali: ogni mattina, accompagnato dal suo autista e fidato factotum, si recava nei campi per controllare i lavori, una volta al mese andava a riscuotere gli affitti e tutte le domeniche, si recava alla messa nella vicina parrocchia. Il resto del suo tempo lo trascorreva chiuso nella sua camera.
Erano passati quindici anni dalla morte di suo padre, Gaetano ne aveva già compiuti sessantacinque .
In tutti quegli anni, non aveva mai speso un soldo per le riparazioni o per apportare migliorie alla casa, l’unica variante, subito dopo la morte del padre, fu quella di trasformare un piccolo spogliatoio adiacente alla sua camera da letto, in una grande cassaforte, simile ad un caveau, a cui si accedeva esclusivamente dalla sua camera. Vi fece riporre tutti gli oggetti più preziosi che si trovavano sparsi per la casa e mensilmente, vi riponeva i denari derivanti dagli affitti delle sue proprietà. Ogni sera, prima di coricarsi faceva una sosta nel caveau, per controllare che ogni cosa fosse al suo posto.
Col passare degli anni, le sue uscite si erano diradate, ormai si allontanava dalla sua casa solo per andare personalmente a riscuotere gli affitti e per  recarsi alla messa della domenica, per tutte le altre incombenze, aveva incaricato il suo fedele factotum.
Era prossimo ai settant’anni quando, una domenica mattina recatosi alla consueta messa domenicale, credette di subire un severo giudizio da parte del parroco, il quale, durante l’omelia, parlò dell’avarizia con duri accenti, tanto che Gaetano pensò che si riferisse proprio a lui.
Stizzito se ne tornò a casa e si chiuse nella sua camera e per tutto il giorno, continuarono a risuonargli nelle orecchie, le parole del prete.
Quella stessa notte fece un sogno: si trovò davanti a un portone su cui campeggiava a caratteri cubitali la scritta “ESPIAZIONE”. La porta si aprì e gli si presentò davanti un arcigno signore con una lunga barba bianca, che gli fece cenno di entrare. Ai suoi occhi apparve una grande stanza, che mostrava due realtà opposte: una parte era fastosamente addobbata, al centro di questa, si trovava una grande tavola imbandita con ogni ben di Dio e attorniata da uomini e donne riccamente vestiti. Con sua grande sorpresa, gli parve di riconoscere tra questi, alcuni mendicanti che più volte avevano bussato alla sua porta ed erano stati respinti. Dall’altra parte, invece, una sorta di porcile, dove, semisdraiati per terra tra rifiuti e resti di cibo, stavano altri uomini e donne macilenti e vestiti di stracci. Gaetano fece subito per andare verso la parte che gli sembrava più idonea al suo rango, ma l’uomo lo fermò e gli disse che doveva andare dalla parte opposta. - Ma… io sono ricco – protestò. - No - gli rispose il vecchio, - tu sei morto e i tuoi beni sono rimasti sulla terra, qui non possiedi nulla, dovrai perciò, contare solo sulla generosità di queste persone – proseguì , accennando ai ricchi. Gaetano si svegliò di soprassalto e accortosi di essere vivo e vegeto nel suo letto, si sentì sollevato, ciononostante rimase molto turbato e per quella notte non riuscì più a chiudere occhio.
Nei giorni che seguirono continuò a tormentarsi, non riusciva a togliersi dalla mente il discorso del parroco e tanto meno lo strano sogno di quella notte.
Gaetano, che non era solamente avaro, ma che dietro la sua ostentata arroganza, nascondeva un animo pusillanime e opportunista cominciò a pensare tra sé e sé che era arrivato il momento di cambiare vita…..





























































2014
STAVO SALENDO LE SCALE  QUANDO….

Stavo salendo le scale quando sentii dei passi alle mie spalle… ( non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che mi trovavo in un antico palazzo del settecento, che a quanto si diceva in giro, era abitato da fantasmi e se non fossi stata certa di essere,  in quel momento, l’unica persona presente nella casa ).
Ero arrivata da pochi giorni al seguito della famiglia, una coppia di nobili coniugi, blasonati per discendenza, presso i quali lavoravo in qualità di baby sitter delle loro tre figlie.
Mi arrestai, dunque su uno scalino e anche i passi alle mie spalle si arrestarono.
Ripresi a salire e di nuovo sentivo i passi dietro di me, altre due volte mi fermai e ogni volta il rumore dei passi spariva.  Non osavo guardarmi indietro, temevo di  incrociare lo sguardo del mio probabile inseguitore. Intanto la paura  mi aveva  azzerato la saliva e il cuore mi batteva all’impazzata.  Non potevo restare ferma in balia della mia paura, mi feci coraggio  e salii di corsa  gli ultimi scalini, raggiunsi così la lunga anticamera che veniva chiamata “galleria”. Questa, nella parte sinistra  si affacciava sul cortile interno del palazzo, mentre alla destra si contavano , una dietro l’altra le porte delle camere da letto destinate ai padroni di casa e ai loro ospiti.
In fondo alla galleria c’era una piccola cappella, i miei occhi furono attratti  da un tremolante luccichio che proiettava grottesche ombre allungate sul pavimento… una candela  accesa? Chi poteva aver acceso una candela a quell’ora, se in casa non c’era nessuno? Questa volta il panico si impadronì di me, tremavo come una foglia e intanto restavo immobile, avrei voluto gridare, ma la voce non usciva, le mie fauci erano più aride di un deserto.
Dovevo raggiungere la porta più vicina alla cappella, da dove avrei dovuto proseguire per  altre due rampe di scale prima di raggiungere la mia stanza, che era attigua a quella delle bambine, all’ultimo piano.  A quell’ora, per fortuna,  le bambine già dormivano da un pezzo.
Ero pietrificata dalla paura e incapace di prendere una decisione: andare avanti? Tornare indietro? Mi accasciai sul pavimento e mi lasciai andare in un pianto silenzioso. Ad un tratto sentii un gran frastuono al piano di sotto,  sembrava un portone che sbatteva, a quel punto mi uscì un grido, che non so neppure io dove fossi andata a prendere tutto quel fiato. Subito dopo sentii uno scalpiccio su per le scale… credevo fosse imminente la mia fine…
Con mia grande  sorpresa e sollievo, mi trovai davanti il custode che come ogni sera faceva il giro per accertarsi che porte e finestre fossero chiuse. Dopo avermi rincuorata  volle sapere cosa mi fosse successo. Con la voce tremante gli raccontai l’accaduto e alla fine del mio racconto lui  scoppiò in una fragorosa risata: mi spiegò che essendo il vano scale molto ampio e i soffitti così alti, si creava nell’ambiente una sorta di cassa di risonanza, per cui i passi che io sentivo, non erano altro che l’eco dei miei passi.  Per  quanto riguardava la luce tremolante che io vedevo, mi disse che  era solo  il riverbero della luna che si specchiava sui vetri mosaico della finestra, la quale ondeggiando leggermente, proiettava le sue strane ombre sul pavimento.
Poi il custode, volle gentilmente accompagnarmi nella mia camera, diedi un’occhiata alle bambine, che, beate loro, dormivano serenamente. Chiusi  la porta a chiave e mi coricai. Una volta  appoggiata la testa sul cuscino, continuai a sentire per molto tempo,  il rimbombo dei battiti del mio cuore. E’ inutile dire che quella notte non riuscii a chiudere occhio.














































2014
LA BELLEZZA

Il temporale le sorprese lungo la strada mentre si recavano a casa alla fine della scuola. Sara, 11 anni, ed  Elisa, 6 anni. Le due sorelline frequentavano entrambe la scuola elementare “Enrico Fermi” situata ai margini del piccolo paese. Sara era in quinta elementare, mentre Elisa frequentava la prima.
Le due bambine abitavano in campagna, a circa un Km e mezzo dal paese e come ogni giorno, percorrevano a piedi il tratto di strada che le separava  da casa a scuola e viceversa.
La madre era troppo occupata nei campi e non aveva tempo di accompagnarle. Il padre era emigrato in Germania da circa tre anni e non aveva più fatto ritorno. A quanto avevano appreso, in seguito, si era rifatto una nuova vita. Così toccava a Sara, occuparsi della sorella più piccola.
Quel giorno di primavera inoltrata, appena uscite dalla scuola, il cielo era nuvoloso, Sara aveva notato in lontananza le montagne scure e minacciose, sulla cui sommità si addensavano  a mo’ di cappelli enormi nubi cariche di pioggia.
Sollecitò la sorellina ad affrettare il passo, nella speranza di evitare il temporale, ma fu del  tutto inutile: i primi tuoni esplosero come cannonate, seguiti da lampi che squarciavano il cielo per poi abbattersi sugli alberi. La piccola Elisa scoppiò a piangere, le due bambine si stringevano l’una all’altra ad ogni boato. Anche Sara, aveva paura, in fin e dei conti, era una bambina lei stessa, ma doveva mostrarsi coraggiosa per rassicurare la sorellina.
Ben presto cominciò a piovere a dirotto, le due bambine riuscirono a ripararsi dentro un fienile poco distante: stettero strette l’una all’altra in attesa che la pioggia cessasse.
Passò circa mezz’ora quando la pioggia rallentò e in cielo apparvero le prime schiarite. Sara decise che era ora di riprendere il cammino.
Si avviarono a passo svelto verso casa, il cielo era ancora piuttosto scuro da quella parte, ma alle loro spalle il chiarore si faceva via via più intenso, irradiando di sgargianti colori la campagna circostante. Sara si voltò e subito dopo invitò la sorellina a fare altrettanto: quello che vide sembrò alla piccola Elisa, la cosa più bella che avesse mai visto: un coloratissimo arcobaleno  si stagliava ad arco verso le montagne, dando al paesaggio una visione quasi magica. Le montagne non erano più scure, ma sfoggiavano un intenso colore verde, e ogni campo intorno a loro sembrava più brillante, persino il selciato su cui camminavano, appariva più lucente, come se ogni cosa fosse stata lustrata. A Elisa, quel repentino cambiamento, sembrò opera di un mago, che avesse voluto compiere una magia unicamente per lei, tanto per farla stare tranquilla.
Quando arrivarono a casa, Sara si apprestò a preparare la merenda per la sorellina e poi la incoraggiò dicendo: - quando avrai finito la merenda e fatto i compiti, farai un bel disegno per la mamma, perché domani è il suo compleanno -.
A Elisa piaceva pasticciare coi colori e non se lo fece ripetere due volte, finiti i suoi compiti si mise all’opera: disegnò un cielo azzurro e un bellissimo arcobaleno e  infine con l’aiuto di Sara nel bel mezzo del cielo azzurro
scrisse:
LA MAMMA E’  BELLA COME L’ARCOBALENO
L’indomani mattina prima di andare a scuola le due bambine consegnarono alla mamma il loro regalo. E’ inutile dire che la mamma, commossa, abbracciò e baciò teneramente le sue due figlie e disse loro che quello era il più bel regalo che avesse mai ricevuto.















































2015
IL VIAGGIO

Sofia se ne stava chiusa nella sua camera, seduta sul suo letto, mentre nella sua mente come in un film, scorrevano le immagini degli ultimi avvenimenti, stimolanti prima,  e tragici dopo. Erano passati appena due giorni , da quando aveva dato l’ultimo addio alla sua amata nonna Amalia.
Che donna, nonna Amalia! Sebbene il suo grado di istruzione non fosse andato oltre la quinta elementare, era dotata di intuito e fantasia non comuni, oltre a una grande curiosità di conoscere il mondo, al di là dei piccoli confini che le erano noti.
Non aveva mai lasciato  il paesello in provincia di Treviso, nel quale era nata e cresciuta e dove aveva conosciuto e poi sposato il suo Bepi, come affettuosamente chiamava suo marito. Eppure conosceva ogni dettaglio dei paesi più affascinati e remoti, poiché era solita viaggiare con la fantasia.
Con i piccoli risparmi che riusciva a mettere da parte  comperava libri che  raccontavano di avventure e di viaggi  esotici e atlanti geografici, dove poteva rintracciare le esatte posizioni dei luoghi che di volta in volta scopriva nelle sue letture.
Quando nonno Bepi aveva lasciato questo mondo, la loro unica figlia Giovanna aveva tredici anni e da quel momento, la nonna aveva dovuto dedicare tutto il suo tempo al lavoro e alla figlia e per un lungo periodo  era stata costretta a mettere da parte i suoi viaggi di fantasia.
Così quando  la figlia Giovanna appena ventenne convolò a nozze e in breve tempo mise al mondo la piccola Sofia, la nonna seppe in quell’istante che presto avrebbe ricominciato a viaggiare e Sofia sarebbe stata la sua nuova compagna di viaggi e di avventure.
Fin dai suoi primi anni di vita, infatti,  la piccola Sofia trascorreva ore sdraiata sul suo letto, mentre la nonna seduta accanto a lei le leggeva le storie che tanto aveva amato  e poi l’aiutava a puntare il suo ditino sui luoghi corrispondenti sulle carte geografiche.
Sofia, ne era rimasta talmente influenzata e affascinata, che  dopo il diploma liceale, decise di iscriversi alla facoltà di “scienze Geografiche”.
Erano trascorsi due mesi da quando aveva discusso la sua tesi di laurea sulla “Nascita degli Stati Uniti d’America”, ottenendo il punteggio di  centodieci e lode.
In quella occasione la nonna, che in tutti quegli anni aveva messo da parte ogni centesimo risparmiato della sua piccola pensione, volle regalarle un viaggio negli Stati Uniti.
Sofia ne era stata entusiasta, ma anche preoccupata di lasciare la nonna che in quel periodo, non godeva di buona salute. Ma la nonna aveva insistito affinché lei partisse  al più presto in modo che al suo ritorno potesse raccontarle  per filo e per segno del suo viaggio.
Seppure con una certa preoccupazione, Sofia era  partita e ogni giorno telefonava a casa per avere notizie della nonna.
Il suo viaggio era durato quindici giorni e ogni sera, quando rientrava in albergo, compilava il diario dettagliato delle sue  esplorazioni.
Quando Sofia era tornata a casa la nonna sembrava essersi ripresa, ma si era trattato solo  di un miglioramento momentaneo, forse dovuto alla gioia di rivedere la sua amata nipote. Trascorreva  ore presso  il capezzale della nonna leggendo il suo diario di viaggio, ed era felice quando riusciva a scorgere sul suo viso un segno di partecipazione.
La nonna si era aggravata pochi giorni dopo il suo ritorno e a nulla era  valso il tentativo di farla ricoverare in ospedale… era morta serenamente stringendo la mano della sua amata Sofia.
Prima che il feretro venisse chiuso, Sofia aveva  accostato le sue labbra all’orecchio della nonna e le aveva sussurrato: “Addio  nonna, fai buon viaggio!”   Poi aveva preso il suo diario di viaggio e dolcemente lo aveva appoggiato sul suo petto.



















































 
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